Per non vincere il premio Nobel della lamentela

Per non vincere il premio Nobel della lamentela

Martedì, 10 dicembre 2019

(testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall’Autore che, per altro, non è madrelingua italiana).

 

Il Signore ci consola sempre a patto che noi ci lasciamo consolare. Dio corregge con la consolazione, ma come? In un altro passo, quello che parla del Signore buon pastore, Isaia dice che “con il suo braccio raduna il gregge, porta gli agnellini sul petto e con dolcezza conduce le pecore madri”. Ma questo è un passo di tenerezza! Come consola il Signore? Con tenerezza. Come corregge, il Signore? Con tenerezza. Come punisce, il Signore? Con tenerezza. Ti immagini sul petto del Signore, dopo aver peccato? Il Signore conduce, il Signore guida il suo popolo, il Signore corregge; io direi anche che il Signore punisce con tenerezza. E’ la tenerezza di Dio, sono le carezze di Dio. Non è un atteggiamento didattico o diplomatico di Dio, ma gli viene da dentro, è la gioia che Lui ha quando un peccatore gli si riavvicina. La gioia lo rende tenero.

Nella parabola del Figlio Prodigo il papà vide da lontano il figlio: perché lo aspettava, saliva sul terrazzo per vedere se il figlio ritornava. Cuore di padre. E quando arriva e comincia quel discorso di pentimento, lui gli tappa la bocca e fa festa. La vicinanza tenera del Signore. Nel Vangelo torna il pastore, quello che ha cento pecore ed una si smarrisce.

Non lascerà le novantanove sui monti ed andrà a cercare quella che si è smarrita? E se riesce a trovarla si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Questa è la gioia del Signore davanti al peccatore, davanti a noi quando ci lasciamo perdonare, ci avviciniamo a Lui perché ci perdoni. Una gioia che si fa tenerezza, e quella tenerezza ci consola.

Tante volte noi ci lamentiamo delle difficoltà che abbiamo: il diavolo vuole che noi cadiamo nello spirito di tristezza, amareggiati della vita o dei propri peccati. Ho conosciuto una persona consacrata che chiamavano “Lamentela”, perché non riusciva a fare altra cosa che lamentarsi: era il premio Nobel delle lamentele. Ma quante volte noi ci lamentiamo e pensiamo che i nostri peccati, i nostri limiti non possano essere perdonati. Invece la voce del Signore dice: “Io ti consolo, sono vicino a te” e ci prende con tenerezza. Il Dio potente che ha creato i cieli e la terra, il Dio-eroe, per dirla così, fratello nostro, che si è lasciato portare alla croce a morire per noi, è capace di accarezzarci e dire: “Non piangere”. Con quanta tenerezza il Signore avrà accarezzato la vedova di Nain quando le ha detto: “Non piangere”. Forse, davanti alla bara del figlio, l’ha accarezzata prima di dirle “Non piangere”. Perché lì c’era il disastro. Dobbiamo credere a questa consolazione del Signore perché dopo c’è la grazia del perdono.

“Padre, io ho tanti peccati, tanti sbagli ho fatto, nella vita”...

“Ma lasciati consolare!”.

“Ma chi mi consola?” chiede ancora il penitente, “Il Signore!”.

“E dove devo andare?” è l’ultima domanda del penitente.

“A chiedere perdono: vai, vai! Sii coraggioso. Apri la porta. E Lui ti accarezzerà. Lui si avvicinerà con la tenerezza di un padre, di un fratello: come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri, così il Signore ci consola”.