La preghiera - parte 2
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- Autore: Teologa Laura Verrani
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Lectio 24 novembre 2017
Laura Verrani
Secondo incontro sulla preghiera
In questo secondo incontro mi è sembrato bello andare a scovare nel vangelo di Luca quei momenti in cui Gesù prega, per guardarlo, per capire perché stesse pregando in quel momento, a partire da cosa, che cosa sta succedendo mentre prega. Ecco, guardandolo pregare così come Luca ce lo descrive, è possibile che magari usciranno fuori delle indicazioni belle anche per la nostra vita di preghiera. Questo significherà attraversare questo vangelo alla ricerca di questi spunti, potrebbero essere anche solo uno o due versetti.
Questo cammino ho pensato di inquadrarlo a partire dal momento iniziale in cui Gesù dodicenne viene ritrovato da Maria e Giuseppe. Loro pensavano che fosse nella carovana insieme agli altri, invece lo ritrovano nel tempio e gli chiedono perché abbia fatto una cosa del genere. Gesù risponde: “Perché mi cercavate? Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
Perché ho scelto questo versetto?
Se lo leggiamo nella versione originale in greco Gesù non sta dicendo “occuparmi delle cose del Padre mio”, ma “ non sapete che devo essere nelle cose del Padre mio?”.
Essere nelle cose del Padre.
Questo punto d'inizio è da collegare credo alle ultime parole che Gesù pronuncia sulla croce: “Padre mio nelle tue mani consegno il mio spirito”.
Qualcuno ha giustamente notato che le prime e le ultime parole di Gesù nel vangelo di Luca sono riferite al Padre: “essere nelle cose del Padre” “essere nelle mani del Padre”.
Io credo che tutti i momenti che vedremo della preghiera di Gesù vadano inquadrati in questa grande cornice: è un atteggiamento di fondo di Gesù che accompagna l'intera sua vita. La preghiera di Gesù non è soltanto qualche momento, magari molto lungo, magari tutta la notte, magari quaranta giorni, ma tempi ampi e sostanziosi di relazione col Padre.
Questi due momenti, l'iniziale ed il conclusivo, mi sembra che dicano che la preghiera cioè la relazione col Padre per Gesù è qualcosa che abbraccia veramente tutta la globalità della sua esistenza, è un modo di essere per lui.
Stare nelle cose del Padre.
Per Gesù pregare credo significhi questo percepirsi nel Padre. All'inizio Gesù non dice devo essere con il Padre, ma “essere in” come se il Padre fosse per lui uno stato... io direi un domicilio. Cioè Gesù dice a chiare lettere a se stesso ed agli altri che lo interpellano su questo, già a dodici anni, che il suo stato esistenziale, il suo domicilio, dove sei tu, dove ti trovi, nel Padre, nelle cose del Padre, nelle mani del Padre.
Pregare per lui significa in qualunque momento della vita, qualunque cosa stia facendo, in qualunque luogo sia, essere interiormente nelle mani del Padre.
Quindi preghiera come uno stato esistenziale, un domicilio, un indirizzo.
Dove ti trovi esattamente? A Malanghero per la contingenza, ma nella realtà nelle cose del Padre.
Questa dimensione interiore che accompagna Gesù poi capita pure che si traduca in una precisa localizzazione anche geografica talvolta. Per il fatto di vivere interiormente nelle mani, nelle cose del Padre poi finisce che si ritrova anche nella concretezza in posti dove nessuno penserebbe che lui sia.
Cioè essere nel Padre ti porta poi anche nella vita a stare in posti che non sono quelli che uno si aspetterebbe. Voglio dire che tutti si aspettavano che in quei tre giorni lui fosse con mamma e papà nel viaggio di ritorno, invece lui era altrove.
E' la preghiera un atteggiamento di fondo, un luogo interiore in cui vivere che però poi nei fatti a volte ti porta a stare in posti che non sono convenzionali che non sono quelli che gli altri si aspettano.
Mi sembra che questo dica della preghiera una cosa molto bella. Vivere una vita nel Padre porta a vivere una vita originale non convenzionale, inaspettata. Tutti si aspettano che tu viva la tua pensione in un certo modo e tu la vivi in un altro.
Poi Luca comincia a farci vedere in modo puntuale qua e là alcune situazioni in cui Gesù sta pregando.
La prima si trova nel cap. 5 versetto 16 dopo la guarigione del lebbroso, la prima guarigione che Luca ci racconta nel dettaglio. Non è la prima volta che ci viene detto che Gesù guarisce delle persone, solo che non ci è mai stato descritto nel concreto. Quando questo episodio si conclude Luca commenta così: “Di lui si parlava sempre di più e folle numerose venivano per ascoltarlo, per farsi guarire dalle loro malattie, ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare”.
L'episodio inizia in città dove c'è folla e ci sono le malattie e si conclude in luoghi deserti dove Gesù prega. Città-folla, deserto-preghiera.
La preghiera non è una situazione che si colloca nella folla, ma ha bisogno di luoghi precisi.
Nel cap. 6 successivo Gesù prega tutta la notte, prima di fare il giorno dopo la scelta dei discepoli. Ed allora lì si aggiunge un altro tassello: la preghiera in luoghi deserti di notte. Gesù per la preghiera riserva spazi e tempi specifici e precisi. E questo è bello.
Siamo partiti dicendo che la preghiera è un modo di essere che attraversa tutta la sua esistenza. Qualunque cosa faccia è essere nelle mani del Padre.
Questo però non significa che qualunque momento in fondo vada bene. Anche Gesù che ha avuto tutta questa vita attraversata dalle cose del Padre, si è riservato questi spazi. Quindi la preghiera ha bisogno di un tempo e di uno spazio.
Questo episodio ci dice ancora un'altra cosa della preghiera.
Gesù ha guarito una persona, di conseguenza è aumentato l'afflusso di quelli che chiedono di essere guariti. Normalmente nei nostri ambulatori quando aumentano i pazienti si fa lo straordinario. Ma Gesù non fa lo straordinario, anzi chiude l'ambulatorio e si ritira in luoghi deserti a pregare.
La percezione della propria, non vorrei dire un'eresia, ma oso dire questo, insufficienza di fronte ad una folla di persone che hanno bisogno di essere guarite, lo spinge a cercare nella preghiera le mani del Padre come se le sue non fossero sufficienti. Ma le sue mani hanno appena guarito un lebbroso, hanno guarito tanta gente. Eppure Gesù percepisce che non bastano le sue mani, ci vogliono quelle del Padre.
Questo io lo trovo bellissimo. Gesù ha la percezione del proprio limite. Avrebbe potuto guarire, certo che avrebbe potuto, ma tira giù la saracinesca e va a cercare le mani del Padre, perché nemmeno le sue mani sono sufficienti.
Nel pezzo successivo del cap. 6 versetto 12: “Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici”.
Qui c'è il tempo della notte, un tempo preciso. E' interessante che questo tempo sia notturno. La notte è certamente un tempo tranquillo, ma è anche un tempo buio. La notte è il tempo dell'assenza della luce per definizione. Mi sembra che ci sia qui una indicazione preziosa per la preghiera.
La preghiera è anche una esperienza notturna. Il che significa non baldanzosa piena di gusto e di soddisfazione, ma probabilmente faticosa, un po' buia. Cioè non dobbiamo aspettarci necessariamente un'esperienza mistica luminosa e chiara. La preghiera può essere una esperienza di buio e di fatica. Spesso è questo. Eppure da questo buio il giorno dopo esce una scelta, la chiarezza per fare una scelta. Mi sembra una cosa bella questa perché ci dice come affrontare senza timore le difficoltà della preghiera anche quando si presenta con questi caratteri così notturni. Perché comunque da quel buio dopo nel giorno esce fuori la chiarezza giusta per fare quello che dobbiamo fare. Gesù dunque prega di notte facendo tutta la fatica di questo mondo.
Cap.9 versetto 18: “Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare ed i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: Chi sono io secondo la gente?”. La cosa sbalorditiva di questo versetto è che letteralmente c'è scritto non che si trovava in un luogo solitario a pregare, ma che si trovava da solo mentre stava pregando ed i discepoli erano con lui. Sembra un ossimoro, una delle due affermazioni non deve essere vera, quindi si è pensato meglio di tradurre “in un luogo solitario”. Da una frase del genere possono venir fuori due indicazioni.
Sembrerebbe che la preghiera sia sempre una esperienza di solitudine anche quando sei in mezzo agli altri. Se la preghiera è mettersi nelle mani di Dio, se è mettersi nelle cose del Padre, mettere i nostri occhi nei suoi, guardarci e parlare, si capisce che questo momento di relazione intima è individuale e di solitudine. Anche quando siamo tutti insieme a pregare, io posso mettere la mia vita in quello che sto dicendo. Abbiamo cantato tutti insieme il salmo, però nessuno di noi ha vissuto le cose che ha vissuto il suo vicino, quindi quello che sto dicendo mentre sto pregando, quello che sto portando nella preghiera non sarà mai uguale a quello che ha vissuto l'altro, lo potrò portare sempre soltanto io. In questo c'è una dimensione di individualità e di solitudine per cui Gesù da solo pregava.
Nello stesso tempo però i discepoli erano con lui. Io credo che questo voglia dire che questa solitudine non è mai isolamento. Non è essere soli e basta. Nel testo successivo, che sarà la trasfigurazione, oltre ai discepoli con lui compariranno Elia e Mosè. Si comincia ad intravvedere che il mettersi in relazione con il Padre per Gesù significa qualcosa che riguarda lui innanzitutto in cui lui è da solo, ma non è isolato. E' solo, ma in comunione. I discepoli sono con lui. E' solitudine sì, c'è qualcosa che posso dire solo io al Signore, quello che ho vissuto oggi l'ho vissuto solo io, se oggi non mi metto in relazione col Padre, ci sarà qualcosa che non verrà mai detto. Quindi solitudine sì, mai isolamento, ma apertura alla comunione.
Se questa solitudine è vera, cioè è relazione col Padre, immediatamente si apre alla comunione cioè alla presenza di quelli che ci sono accanto tutti i giorni. In questa solitudine non possono non esserci i discepoli che sono i suoi compagni di viaggio. Non solo, sul Tabor ci sono anche quelli che sono già nelle mani del Padre per sempre Mosè ed Elia. E' una cosa bellissima, è quello che nella nostra tradizione cristiana chiamiamo la comunione dei santi. La preghiera dunque come luogo di comunione profonda ed autentica con chi ci vive accanto tutti i giorni e persino con chi se ne è già andato. Proprio mentre ci mettiamo in solitudine col Padre.
Mi fermo qui. Vedremo la prossima volta quello che succede ai piedi del Tabor.