IX Comunicato

 

Carissime e carissimi, buon tutto a tutti!

 

         Cominciamo con le belle notizie. Il 1° maggio Marco Betemps e Iolanda hanno festeggiato i loro primi sessant'anni di matrimonio! Quel giorno ho detto messa "clandestina" pregando per loro ma, a bufera passata, li festeggeremo in modo degno con ciucca solenne. Per intanto li ringraziamo della loro amicizia e della loro testimonianza di amore e di fede.

 

         Seconda buona notizia: il vescovo di Pinerolo, don Derio (l'autore del libretto della caffettiera) è tornato a casa, un po' a pezzettini, ma guarito!

 

         Aldo Depaoli e Pier Giorgio Assalto (che ne è l'autore e il donatore e lo ringraziamo) il 5 maggio hanno montato la nuova finestra della sacrestia della chiesetta della Madonna del salice: un'altra cosa che va a posto...

 

         A proposito di cose belle, vi invito ad andare a vedere, ci sono su youtube, la predica che papa Francesco ha fatto giovedì santo parlando del sacerdozio, l'omelia tenuta dal francescano padre Cantalamessa nella celebrazione della croce del venerdì santo in San Pietro, il discorso tenuto da papa Francesco al Regina Coeli del giorno di Pasqua e la sua omelia tenuta alla messa della domenica in albis. Sono interventi che davvero ci possono illuminare ed aiutare a riflettere, a meditare ed a pregare

 

         Sembra che da lunedì 18 maggio potrà riprendersi la celebrazione della messa. Se così effettivamente sarà nel prossimo comunicato saranno fornite modalità ed orari, poi si tornerà all'Emmaus dei tempi normali.

 

         Consegno ben volentieri lo spazio che mi rimane alla penna di santa Teresa Benedetta della Croce (la professoressa Edith Stein) che ci stava aiutando con i suoi scritti nei momenti di adorazione eucaristica prima dello scoppio dell'epidemia.

 

         Da Colonia il 20 ottobre 1938 in una lettera scriveva: "Certo è difficile vivere fuori dalla normalità, senza il Santissimo, ma Dio è in noi con tutta la Trinità. Se nell'intimo del nostro cuore abbiamo costruito una cella ben protetta in cui ci ritiriamo il più spesso possibile, non ci mancherà mai niente dovunque ci troveremo".

 

         Ecco che riappare l'idea della cella interiore... Come Etty Hillesum (che non aveva rapporti con la Stein e non ne aveva potuto ancora leggere gli scritti) e molti altri di cui in questi anni abbiamo letto, ritornano spesso su questo concetto. Significa che è proprio importante creare in noi uno spazio intimo in cui niente e nessuno ci possa invadere per abitare in noi stessi, in Dio e nel prossimo e nelle sue necessità e sofferenze.

 

         Se questo periodo di solitudine forzata ci portasse anche solamente ad iniziare a costruire questa "cella interiore" non sarebbe affatto passato inutilmente.

         Sì, ma come si fa a costruire questa cella? Strumento necessario è la mezz'ora di silenzio e di preghiera quotidiana, non di sola lettura "cervellotica", ma di relazione affettiva ed effettiva con il Signore, di cui abbiamo tanto parlato in questi anni...

 

         In una lettera scritta prima di quella citata prima, Edith diceva: "L'essenziale è solo che ogni giorno si trovi anzitutto un angolo tranquillo in cui poter avere un contatto con Dio, come se non ci fosse nient'altro al mondo".

 

         Sant'Ambrogio di Milano aveva scritto più di mille anni prima: "Cella... entra nella tua camera (Mt 6, 6). La cella che è dentro di te, dove sono rinchiusi i tuoi pensieri, dove risiedono i tuoi sentimenti! Questa camera della tua preghiera è con te dappertutto è segreta dovunque ti rechi ed in essa non c'è altro confronto se non Dio solo".

 

         In questi giorni rileggevo il filosofo beato Antonio Rosmini che nel 1825 in una lettera scriveva: "Gran parte della vita è dedita a cose vane; che essendo fuori di noi, ci tolgono da quella beata celletta del cuore dove solo potremmo trovare Dio.

         (...) Dentro di noi, conviene erigere delle mura di fuoco, dentro le quali non possa penetrare altro che lo spirito di Dio che è fuoco. Queste mura sono l'amore di Dio e l'amore del prossimo". Altra conferma...

 

         Ancora da Colonia, Edith sette giorni dopo, il 27 ottobre 1938, scrive "Possiamo costatare ogni giorno quante cose erano sbagliate di ciò che credevamo e di ciò che abbiamo imparato. Ed è inutile fare una simile costatazione, perché ci si rende conto che non possiamo fidarci solamente di noi stessi e che saremmo perduti se un Altro, che vede meglio e più lontano, non si curasse di noi...".

 

         Grazie a Dio, noi, non assistiamo come Edith all'affermarsi della dittatura nazista, ma senz'altro questo momento ci pone con chiarezza e direi quasi spietatezza di fonte a noi stessi, alle nostre presunte sicurezze, alle lacune del sistema della sanità dello Stato, di un sistema economico, di un benessere considerato inaffondabile, di una politica non all'altezza, di una Chiesa che balbetta... A noi la grande responsabilità di scegliere in che modo da oggi in poi voler vivere.

 

         Ancora un "botto finale" come nei fuochi d'artificio che ci fa del bene; scrive Edith: "Quando Dio, per bocca dei profeti, mi dice che mi è più fedele del padre e della madre, che egli è lo stesso amore, allora riconosco quanto sia ragionevole la mia fiducia nel braccio che mi sostiene e quanto sia stolto ogni timore di cadere nel nulla, a meno che non mi stacchi io stessa dal braccio che mi sorregge".

 

         Ricordo che è possibile spedirmi le riflessioni circa le dieci parole in vista di una ripresa... diversa. E' possibile pure inviare le dieci righe con l'articoletto di cronaca bianca, riflessione di cui tutti oggi necessitiamo così tanto. Indirizzo mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. da utilizzare solo per questo scopo, per il resto c'è il telefono.

 

         Ogni giorno vi ricordo uno ad uno nella preghiera e vi porto tutti vicino all'altare nel celebrare la messa.     Un bacio con lo schiocco a tutte, i maschi si facciano bastare una vigorosa stretta di mano...!

don Dario Bernardo M.

oblato benedettino

 

 

Stabat Mater

di Silvana di Milano

 

         Stabat Mater: in questo tempo sto riscoprendo la bellezza e la suggestione di questo canto.

         Mi accompagna nelle giornate più dure e mi commuove, mentre mi sostiene nella contemplazione del Crocifisso. Nelle parole di questa preghiera, antica e sempre nuova, ecco tutto il dolore di una Madre, unito a quello del Figlio, innocente ucciso. Maria piange e sta sotto la croce.

         Sta con tutto l'amore di cui è stata riempita dallo Spirito. Sta con tutta l'angoscia impressa in lei dalle urla della folla che ha condannato il suo Gesù. Sta con tutta la fiducia alla quale l'angelo l'aveva invitata, visitandola nella sua giovinezza.

         Sta con tutta la speranza suscitata dall'annuncio: "Attirerò tutti a me". La Madre sta: partecipe dello strazio, dell'agonia, della lotta che il Figlio morente affronta con obbedienza.

         La Madre sta: trepida, affranta ed adorante.

         Maria, che stai, insegnami a non scappare dalla croce, sia essa la mia o quella del fratello. Aiutami a fissare lo sguardo sul tuo Gesù crocifisso e sui crocifissi di questi nostri giorni. Apri il mio cuore a sostare in silenzio sulla Parola che annuncia e realizza anche in me il progetto di salvezza del Padre.

         Fammi stare in contemplazione della vita e della Vita che è più forte di ogni morte.

         Sta la Madre. Maria tienimi vicina perché stia con te a celebrare il mistero di tuo Figlio che muore d'amore e risorge per amore.

 

 

Nel respiro di Dio

alcuni brani di un'intervista di monsignor Derio, vescovo di Pinerolo, proposto da Gaetana

 

         Abbiamo rinunciato al triduo pasquale. Credo che questa epidemia possa essere un "kairos" (cioè un'epoca, un ciclo, un tempo chiuso, sacro, in greco; ndc), un'occasione da cogliere anche nel modo di far pastorale. Molti vescovi si sono industriati per far pregare le persone nelle case. Molti sono tornati a pregare come non facevano prima. Perché non insistere sulla necessità di reimparare la fede nelle case? Altrimenti rischiamo di tornare a celebrare le messe lasciando però che la vita di tutti i giorni sia vuota. La messa può anche essere una parentesi in un vuoto quotidiano... Di fronte a tragedie come questa si vince insieme. Chi mostra i denti ribadisce i propri diritti e pare che vinca, ma collaborerà alla sconfitta.

 

         La mia malattia è stata durissima. Devo ringraziare i medici dell’ospedale di Pinerolo, un’eccellenza in Italia. Ad un certo punto ero certo che sarei morto. Anche i medici me lo hanno confermato. Prima della malattia se mi avessero detto cosa pensassi della morte avrei risposto che avevo molta paura. E invece, in quei momenti in cui davvero ero vicino alla morte, ero in pace, tranquillo.

 

         Sentivo che c’era una forza che mi teneva vivo. Non avevo la forza di muovermi, ma sentivo una presenza che mi teneva su. Quando mi sono svegliato ho visto che centinaia di persone si sono raccolte per pregare per me.

 

         Mi son sentito come se tutto stesse evaporando, tutte le cose, tutti i ruoli. Tutto. Cosa restava? La fiducia in Dio e le relazioni costruite. Ecco io ero fatto solo di queste cose. Erano due cose salde. Erano me.

 

         Posso confidarle questo: c’è stata una mezza giornata in cui ho avuto un’esperienza bellissima. Sentivo la presenza quasi fisica di Dio, quasi fosse lì da toccarsi. E’ una cosa indicibile che non avevo mai provato e che mi ha cambiato la vita. Piango e mi emoziono ancora adesso.

 

         Quando l’ambulanza è venuta a prendermi in vescovado per portarmi in ospedale, ho telefonato al cancelliere e gli ho chiesto di impartirmi l’unzione degli infermi. E sapesse quante volte, nei giorni successivi, in cui sentivo che stavo morendo, mi sono detto: io ci credo a quel sacramento, e quindi posso andare in pace.

 

         Se mi si richiedesse se sia disposto a tornare alla sofferenza di queste settimane per riprovare l’esperienza di quella presenza direi di si. Adesso torno più entusiasta della vita. Questa malattia colpisce il respiro. Nella Bibbia respiro significa spirito, vita. Lo spirito che viene dato. Ogni respiro è un regalo da gustare, viene da Dio.

 

         Ironia della sorte, quest’anno la mia lettera pastorale è sulle relazioni. “Vuoi un caffè?” il titolo, ma lo slogan serio è “Io siamo”, che significa impegnarsi a ritrovare il valore della comunità in risposta all’individualismo, cancro della società moderna. Io esisto insieme, sono ciò che ho incontrato. Non avrei potuto avere un altro modo per sentire meglio la potenza delle relazioni, di questo iter.

 

         Nell’anno in corso avevo dovuto svolgere delle relazioni sulla figura dell’adulto, sull’adultità, che significa aver provato i limiti della vita e crederci ancora. L’adulto è colui che ha la missione di dar fiducia ai “nuovi” che vengono al mondo. Io in questo periodo ho provato il limite, quello estremo, dell’esistenza e sono vivo. Credo come pastore di dover ancora di più portare fiducia e speranza alla gente.

 

 

Insieme, in cordata

alcuni dei messaggi comunitari arrivati in questo tempo, parole che ci fanno del bene

 

         La vera libertà non ce la toglie nessuno...!

 

         In questi giorni la Parola di Dio è la mia ancora di salvezza.

 

         In questi giorni sento come il Signore cammini accanto a me. Lui tiene il mio passo, mi aspetta, non smette di parlarmi. Mi ascolta, mi sostiene, mi cerca, è proprio il mio compagno di viaggio. Unita a lui non sento la solitudine, sono nella serenità e nella pace. Signore, che non si spenga in me questo desiderio di amarti.

 

         In questo isolamento si fa un po' fatica, ma ne vale la pena...!

 

         Il Signore è con me, vivo e vero, pure in questo momento di digiuno eucaristico!

 

         Il Signore colmi i vuoti con la sua misura pigiata, scossa e traboccante e la sua Presenza.

 

         Il Signore consola. Non è una formalità. Mi consola con la sua presenza silenziosa che rispetta la mia libertà.

 

         "Cosa vedrò nel mondo? Te come fratello... non come nemico" esatto! Buona giornata.

 

         Il momento è pesante, ma sentirsi nel cuore di qualcuno, della comunità, solleva...!

 

         E' bello fare esperienza della comunione con la comunità.

 

         In questi giorni, in questa situazione, capisco che essere cristiani non è appartenere ad una casta protetta, ma far parte di persone che sono radicate in una storia con le radici in Dio.

 

         La preghiera è il respiro della mia anima. La mia fragilità non mi spaventa. A te, Signore, affido la mia povertà.

 

         "Stare", senza scappare, senza fughe... tutto qui quanto la vita ci chiede in questo periodo.

 

         Questi giorni sono una buona occasione per liberarmi dalla zavorra, da tutto quanto mi impedisce di camminare verso me stesso, verso Dio e verso il prossimo. Desidero amare ciò che mi viene donato.

 

         In tutto questo silenzio sento chiaramente che Dio mi chiama, per nome, ad una vita piena, vera, donata... Lui sia il custode della porta dl mio cuore.

 

 

Libertà di culto o liberazione dal culto?

di don Gianluca Zurra, proposto da Silvana di Milano

 

         L’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35) dovrebbe essere, per la Chiesa di tutti i tempi, un riferimento canonico circa lo stile della sua missione. Gesù si accosta e cammina con i discepoli, senza invadenza, ma condividendo “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (Gaudium et Spes 1). Traduciamolo per noi: il battesimo non cancella il nostro essere cittadini del mondo, ma lo esige. Appartenere fino in fondo alla comune umanità è la condizione della fede, perché senza di essa anche il Vangelo non sarebbe udibile, non risuonerebbe come lieta notizia, rischiando di essere percepito come ideologia. Se oggi, a causa della pandemia, non siamo nelle condizioni adeguate per poter celebrare insieme l’Eucaristia, non significa che venga meno la “libertà di culto”, ma si tratta di riscoprire la prima, fondamentale, profetica testimonianza cristiana dello stare accanto, della capacità di condividere nel quotidiano la fatica che tutti stiamo attraversando. Se al centro sta davvero l’umanità e la cura per l’uomo, come l’incarnazione dovrebbe insegnarci, allora possiamo riscoprire in modo fresco, propositivo, senza contrapposizioni, che la vita ecclesiale non può essere concentrata in modo esclusivo sul momento cultuale.

         La Chiesa c’è, eccome, là dove sta riemergendo la forza e la profondità della Parola di Dio, là dove storie bellissime di solidarietà, spesso nascoste, tengono in piedi la nostra socialità ferita, là dove le famiglie, le associazioni custodiscono la luce del Vangelo con la loro quotidiana testimonianza di vita. Mi piacerebbe che nei comunicati ecclesiali istituzionali risuonasse questa freschezza, che per altro già è presente in abbondanza nel sostrato di tanti cristiani; vorrei che se ne parlasse di più, che ci raccontassimo di come la nostra attuale “Eucaristia” sia questo coraggioso “stare accanto”, come ha fatto Gesù con i due discepoli di Emmaus. La stessa cosa vale per i funerali: perché continuare a dire che non si celebrano? Non è così: l’accompagnamento al cimitero, ben preparato, curato nello stile e nei particolari, dovrebbe essere la forma normale delle esequie, a cui purtroppo non ci siamo abituati, perché non ci siamo preparati per tempo a ripensare questo momento così importante al di là dell’Eucaristia, continuando a ritenere che “quando non c’è messa, non c’è nulla”. Se mai proprio sulle esequie, affinché possano essere vissute con più calma ed in modo più comunitario, si potrebbe chiedere all’istituzione civile un’attenzione a proposito di una possibile partecipazione più allargata al cimitero, pur nel rispetto delle giuste regole, essendo un luogo all’aperto, molto più gestibile rispetto al luogo chiuso delle chiese. In ogni caso, credo fermamente che il “digiuno eucaristico” a cui ci costringe la serietà di una pandemia da non prendere per nulla sotto gamba, non è contro la libertà di culto, ma mi piace leggerla come la possibilità di liberare il culto in direzione della vita, perché quando sarà di nuovo possibile gustare insieme il pane del cammino possiamo averne davvero fame e non dimenticarci mai più del suo inconfondibile sapore. Non stiamo vivendo senza Eucaristia: ne stiamo sperimentando un risvolto fondamentale, che l’abitudine stava rischiando di farci perdere!

         Dunque, credo che sia opportuno non trasformare l’Eucaristia in una bandiera (messa sì, o messa no!) e, semmai, sempre con il rispetto necessario, alzare un po’ di più la voce sulla mancanza (questa sì problematica!) di prospettive ad ampio respiro sulle scuole, sulla gestione famigliare dei figli, sulle nuove povertà che si stanno profilando, sulla realtà giovanile ed universitaria, sul senso della didattica a distanza. E' su tali questioni che, come Chiesa, dobbiamo dare un contributo profetico, evitando di dare al virus l’ultima parola con precipitose ed inutili contrapposizioni.

         Torneremo a celebrare, come fonte e culmine irrinunciabile della nostra fede, ma adesso è importante ricordarci a vicenda che lo stare accanto non è altra cosa dall’Eucaristia: è l’espressione della sua più profonda verità, in attesa di poterla rivivere con gioia ed in modo finalmente rinnovato. Questa è l’ora di essere nulla di meno che cittadini responsabili, consapevoli che proprio così diventiamo pane buono gli uni per gli altri, Corpo di Cristo dentro questo faticoso sentiero di Emmaus, in cui tutti cerchiamo di camminare, semplicemente come uomini!

 

 

Essere Chiesa

chiedo scusa all'Autore di questo brano perché non so più chi lo abbia scritto

 

         Siamo confusi, non abbiamo certezze, ci è stata tolta la libertà stiamo provando sulla nostra pelle la precarietà. Si dovranno trovare, anzi, stiamo già sperimentando nuovi modi per incontrarsi, per stare insieme, per condividere anche le celebrazioni della nostra fede.

         "Mostrami, Signore, la tua via, guidami sul retto cammino, sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore".

         Grazie don Dario perché ci affidi ogni mattina al Signore ed invochi su di noi la sua benedizione. Questo per me è importante, fondamentale, questa per me è la Chiesa pur sperando che presto potremo celebrare l'Eucarestia uniti con la comunità in un grande abbraccio non più solo virtuale.

         GRAZIE

 

 

“Abitare la sofferenza”

intervista alla pastora e teologa Elizabeth Green proposto da suor Maria Silvia

 

- Vuole innanzitutto presentarsi ai nomi lettori?

         Elizabeth Green (d'ora in poi EG): Sono pastora da più di trent'anni al servizio dell'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia. Ho sempre unito pensiero teologico e consapevolezza femminista, come si evince dalie mie varie pubblicazioni di cui l'ultima è un percorso a spirale. Teologia femminista: l’ultimo decennio (Claudiana, 2020).

 

- Da una parte l'aspetto più razionale. La teologia non è una scienza esatta. In un momento in cui vi è una ricerca di certezze e di evidenze scientifiche per spiegare l'epidemia in corso, che tipo di competenze e di conoscenze può offrire un sapere come quello teologico?

         EG: La mia riflessione teologica parte dal basso e si esprime anche (e forse soprattutto) nella vita della Chiesa (predicazioni, studio biblico, liturgia...). All'inizio sono rimasta colpita dallo sgomento generale. Non sembrava possibile che ci capitasse qualcosa al di fuori della nostra capacità di controllo. Mi riferisco a qualcosa di profondo, l'assoluta incredulità che nel terzo millennio esistessero ancora l'imprevisto e l'imprevedibile.

         Penso che uno dei compiti della teologia sia tenere aperta la porta a ciò che eccede il sapere tecno scientifico. Tuttavia anche la teologia rischia, nel tentativo di dare senso ed ordine, di smussare troppo gli angoli e contenere l'eccesso sebbene la sua materia sia l'Eccedente per eccellenza! Da lì l'importanza delle Scritture che, veicolano risposte plurali, disordinate e talvolta contraddittorie alle domande che poniamo.

 

- Dall'altra parte l'aspetto più irrazionale. Qua e là si afferma che il diffondersi del virus sia una sorta di punizione divina. Come possibile smontare simili dichiarazioni?

         EG: Non si può negare che l'equazione peccato umano = castigo divino è un filone importante nel pensiero biblico. Presente nei profeti e nel deuteronomista, entra nell’apocalittica trovando anche un piccolo spazio nel discorso di Gesù (Lc 21, 11). Usarla oggi significa estrapolarla dal suo contesto storico, geografico e religioso! Quando tale equazione è evocata nell'attuale situazione, il peccato è sempre quello altrui... Infatti ci si erge a giudice per estraniarsi da una situazione drammatica che minaccia le nostre certezze. E' il rischio corso (e denunciato da Gesù) dalle persone religiose in primis le quali ringraziano Dio di non essere come gli altri uomini (Lc 18, 11). Secondo le Scritture ebraiche creato, creatura umana e Creatore sono connessi. Dunque, laddove le relazioni tra gli esseri umani siano ingiuste (basti pensare all'accaparramento delle risorse da parte di una piccola parte del mondo, le guerre che ne derivano, la violenza maschile sulle donne), anche la relazione creature-creato va in tilt. Il filo che conduce da questa idea all'equazione peccato = castigo è sottile e non regge il ponte che qualcuno vorrebbe costruirci sopra. Non solo perché è una forzatura del testo biblico, ma perché la lettura del disastro va fatto da chi lo vive in prima persona. Il disagio delle persone chiuse in casa è diverso dai pericoli affrontati dal personale sanitario e dall'ansia e dolore di chi non riesce a respirare. Si può parlare di Dio (teo-logia) solo abitando la sofferenza, facendosene carico. Meglio non parlare di Dio affatto, ma discutere con Dio, gridare a Dio, invocarlo in quanto (lo insegna Karl Barth), premessa del teologare e pregare.

 

- Lei cosa pensa significhi il termine speranza”?

         EG: La speranza è la risposta umana alla creatio ex nihilo (cioè creazione dal nulla; ndc) divina. Dall'inizio “Chiamare all'esistenza le cose che non sono(Rm 4, 17) caratterizza la dinamica divina. La speranza si alimenta della parola-promessa da parte di Dio. Sebbene tale parola sia radicata e sostenuta da eventi nel passato (creazione, Esodo, resurrezione) e riguardi il futuro, le sue conseguenze sono già presenti nel presente. Tale dinamica è l'ossatura della fede biblica (“Siamo salvati in speranza. Ora la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perché lo spererebbe ancora? (Rm 8, 24). Per l'apostolo Paolo, Abramo è il paradigma del binomio fede-speranza, a me piace pensare a Sara (Eb 11, 11) e prendere la promessa del bambino ad esempio della speranza che genera. Ci vuole del tempo prima che una gravidanza si renda visibile ed ancora più tempo fino all'arrivo del bambino. La speranza unisce la certezza dell'evento con l'incertezza del tempo. E' J. Moltmann a riscoprire, dopo Auschwitz e sulla scia di E. Bloch, la speranza come categoria teologica.

         Radicata in una parola del passato, la speranza è legata al Dio che viene per interrompere il ripetersi ad infinitum (all'infinito; ndc) del già dato. Dio è sempre più grande delle nostre timide aspettative, dice una preghiera che amo; quando intorno a noi un mondo crolla Tu fai sorgere la Tua nuova creazione; cammina davanti a noi, Tu che sei il nostro futuro.

 

- Quale deve essere il ruolo dei "pastori" in questa emergenza? In rete si trovano molte proposte. Ma non si rischia di stordire con l'eccesso?

         EG: Il punto è: la rete ed i social generano un linguaggio adatto ad argomenti complessi e d'importanza esistenziale? A parte le "pillole di speranza" che mi arrivano su whatsapp ed ingoio volentieri, temo che in rete si rischi di trovare risposte superficiali a domande profonde.

         Perciò penso che oltre a tenere insieme un gregge tutt'altro che virtuale, è importante coadiuvare il discernimento.

         Di fatto, nelle Chiese evangeliche il/la pastore/a accompagna e facilita il rapporto con Dio sia delle singole persone sia della comunità. Il protestantesimo ha sempre incoraggiato pratiche personali di pietà come la lettura biblica, la preghiera quotidiana, il culto domestico e speriamo che possano dare frutto in questo tempo.

 

- Esiste una specificità femminile di cura pastorale della sofferenza che si sta attraversando?

         EG: La domanda sul genere presuppone un maschile ed un femminile forse intesi l’uno in opposizione o complementare all’altro. Poiché sono l'unica figura pastorale di Chiese appartenenti alla FCEI in Sardegna non ho colleghi con i quali confrontarmi, posso solo dire che la figura pastorale è di per sé a rischio di ansia da prestazione, presenzialismo e deliri di onnipotenza, io faccio del mio meglio… ed ho scoperto che non negare la vulnerabilità, ma permettere che si trapeli può essere in linea con la creatio ex nihillo fonte non di debolezza bensì di forza.